9 Settembre 1908 – Cesare Pavese

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Tra gli scrittori nati nel mese di Settembre ho scelto Cesare Pavese, un uomo complicato, in perenne lotta con se stesso come ci raccontano i suoi diari, un autore al quale spesso attingiamo noi del Circolo per le nostre serate di lettura. Personalmente ne apprezzo sia le poesie che la narrativa. Il continuo “scavare” dentro di sé porterà  Pavese a riflettere su alcuni temi ricorrenti nelle sue opere, in particolare nella narrativa, tra i quali la sua infanzia nelle Langhe e la realtà contadina, la forza innata della natura con i suoi ritmi, tutte tematiche che ritroviamo nel romanzo che ho scelto per questa rubrica “La luna e i falò”. E’ l’ultimo romanzo di Pavese, dedicato a Constance Dowling, il suo ultimo amore. Constance era un’attrice statunitense con la quale lo scrittore ebbe in quegli anni una relazione finita bruscamente per volontà di lei, abbandono che molto probabilmente contribuì ad aumentare la disperazione e la disillusione di Pavese fino al tragico epilogo. A Constance Dowling  lo scrittore dedicò anche la bellissima poesia “Verrà la morte e avrà i tuoi occhi”. Ne “La luna e i falò” Anguilla, il protagonista (si conosce solo il suo soprannome) racconta in prima persona la sua storia, la sua decisione di tornare a casa nelle sue Langhe, dopo anni trascorsi negli Stati Uniti, dove era emigrato prima della guerra, dopo essere entrato in contatto con gli ambienti antifascisti durante il servizio militare. Gli eventi raccontati non seguono un ordine temporale ma riaffiorano alla mente del protagonista in ordine sparso e li confronta con il presente, ricordi rivissuti attraverso il vecchio amico falegname Nuto, che era stato come un padre per Anguilla, abbandonato di fronte all’ingresso del Duomo di Alba e poi adottato da una famiglia povera composta da Padrino, da Virgilia e dalle loro due figlie, i quali riceveranno per questa adozione 5 lire offerte dallo Stato per il mantenimento del bambino. Nuto non ha mai lasciato il paese e ne ha vissuto i cambiamenti provocati dalla guerra partigiana. La vita di Anguilla con la famiglia adottiva trascorre tranquilla fino alla morte di Virgilia, poi una forte grandinata distrugge la vigna del Padrino, unico sostentamento della famiglia, tanto che questi è costretto a vendere la loro cascina. Dopo il matrimonio delle figlie, l’uomo viene abbandonato a se stesso, in miseria, costretto a chiedere l’elemosina fino alla morte. Anguilla si trova un lavoro presso la fattoria dei Mora gestita dal Sor Matteo e dalle sue tre figlie, che a causa dell’estrazione sociale diversa, il ragazzo, semplice garzone, può solo osservare da lontano. Preso dai ricordi, Anguilla decide di andare a visitare la cascina della Gaminella, dove è cresciuto e che ora è abitata da Valino, un contadino violento e dalla sua famiglia che comprende anche Cinto, un ragazzo zoppo, che gli ricorda se stesso a tal punto da affezionarsi e instaurare con lui un rapporto paterno. Ma la tragedia è alle porte: Valino in preda all’ira uccide la famiglia e dà fuoco alla cascina suicidandosi. Si salva solo Cinto che riesce a scappare rifugiandosi da Anguilla e Nuto. Anguilla scoprirà anche che delle tre figlie del Sor Matteo due erano morte e la terza era stata giustiziata dopo aver lavorato come spia sia per i Tedeschi che per i Partigiani. Come finirà il viaggio nei ricordi di Anguilla? Quali conseguenze avranno i cambiamenti che il tempo trascorso e le vicissitudini della guerra hanno apportato al suo paese natio? Vi invito a scoprirlo con la lettura di questo bellissimo romanzo. Pavese, attraverso il suo alter ego Anguilla, torna al paese natale alla ricerca delle proprie origini ma ai ricordi fa da contraltare la realtà con i suoi cambiamenti, anche dolorosi, che rappresentano una sorta di tradimento del ricordo stesso. Il titolo del romanzo racchiude il senso delle tematiche care a Pavese: la luna che scandisce i ritmi della natura, delle stagioni che si susseguono, del lavoro dei contadini. I falò invece, che normalmente venivano accesi durante le feste contadine e che da bambino rappresentavano un qualcosa di magico, vengono sostituiti nell’adulto Anguilla da fuochi ben più drammatici come quello che rade al suolo la cascina natia o quelli accesi dallo scoppio delle bombe durante la guerra. L’amore per la terra natia, la malinconia, la nostalgia, la voglia e il piacere del ritorno sono tematiche e sentimenti che ricorrono anche nel mio modo di vivere e di sentire le mie origini, per questo motivo amo questo romanzo.

CESARE Pavese è nato il 9 Settembre 1908 a Santo Stefano Belbo in provincia di Cuneo, dove il padre, cancelliere al Tribunale di Torino, possiede un piccolo podere dove la famiglia trascorre le vacanze estive. Sicuramente la morte  del padre ha inciso notevolmente sul carattere del giovane futuro scrittore, scontroso e introverso che già manifestava attitudini e comportamenti diversi dai ragazzi della sua età. Molto timido e riservato, grande amante della lettura e della natura, rifuggiva il contattato umano preferendo lunghe passeggiate nella campagna, nei boschi per ammirare farfalle e uccelli. Rimanere da solo con una madre duramente provata dalla vedovanza, non lo aiutò affatto: chiusa nel proprio dolore, iniziò a manifestare freddezza nei confronti del figlio, al quale riservò un’educazione severa e priva di slanci affettivi.  Il carattere chiuso e la situazione familiare, nonché forse una probabile impotenza sessuale mai provata ma che trapela dalla lettura del suo diario, contribuirono fortemente a sviluppare in Pavese la tendenza al suicidio. Dopo la morte della madre nel 1931, continuò a vivere con la sorella e iniziò ad insegnare ma non essendo iscritto al partito fascista sarà costretto a ripiegare in istituti privati. Nel 1935 venne arrestato per attività antifascista. Nel 1936 pubblicò la sua prima raccolta in versi “Lavorare stanca” praticamente ignorata dalla critica, nonostante ciò fino al 1949 la sua produzione letteraria sarà ricchissima. Durante la seconda guerra mondiale si rifugiò nel Monferrato a casa della sorella, soggiorno che gli ispirò “La casa in collina” ma a dopo il suo ritorno a casa risale il primo tentativo di suicidio motivato dal matrimonio con un altro uomo della donna di cui era innamorato. A guerra finita si iscrisse al PCI e pubblicò sull’Unità “I dialoghi col compagno”. Nel 1950 pubblicò “La luna e i falò” e vinse il Premio Strega con “La bella estate” (altro romanzo che vi consiglio di leggere).
Era il 27 Agosto 1950 quando, in un camera d’albergo di Torino, Cesare Pavese si tolse la vita. Sulla prima pagina di una copia de “I dialoghi di Leucò”, immaginando lo scalpore che avrebbe generato il suo gesto, lasciò scritto: “ Perdono a tutti e a tutti chiedo perdono. Va bene? Non fate troppi pettegolezzi”.

di Stefania Bocchetta

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