PREMIO NOBEL PER LA LETTERATURA: anno 1954 Ernest Hemingway

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Nel 1954 il Premio Nobel per la Letteratura venne assegnato a me, Ernest Hemingway, “per la sua maestria nell’arte narrativa, recentemente dimostrata con “Il vecchio e il mare” che ha esercitato sullo stile contemporaneo”.

Il mio nome per intero era Ernest Miller Hemingway e nacqui a Oak Park, un sobborgo di Chicago, il 21 Luglio 1899, secondogenito di un medico di famiglia benestante, Clarence Edmonds, mentre mia madre, Grace Hall, era una ex aspirante cantante di opere liriche. Fin da piccolo venni indirizzato all’apprendimento e all’apprezzamento della natura e degli animali, attraverso racconti, partecipando al circolo naturalista diretto da mio padre che mi permetteva di stare a diretto contatto con fauna e flora. Da qui nacque anche la mia passione per la pesca, la caccia e l’avventura. Fin dall’età di 10 ho imparato ad usare i fucili, abilità che segnò la mia vita e la mia morte. Tra l’altro venni anche picchiato dai miei compagni di scuola che invidiavano questa mia “dote” con l’uso delle armi, episodio che mi convinse ad imparare a tirare di boxe. I miei studi non erano particolarmente brillanti e nemmeno entusiasmanti però ebbi la fortuna di incontrare due insegnanti che intuirono la mia predisposizione alla scrittura e la incoraggiarono. Così scrissi i miei primi racconti e anche articoli di cronaca. Una volta diplomato però mi rifiutai di continuare gli studi, come avrebbe voluto mio padre e decisi di cimentarmi con il violoncello come invece avrebbe voluto mia madre. Per imporre il mio volere e le mie aspirazioni mi trasferii a Kansas City ed iniziai a lavorare come cronista del quotidiano locale. Era il 1917 e quell’anno gli USA entrarono nella I Guerra Mondiale: mi presentai come volontario per andare a combattere in Europa, con lo stesso corpo d’armata dove militarono altri scrittori come Cummings, Dos Passos, Faulkner e Francis Scott Fitzgerald. Venni escluso dai reparti combattenti per un difetto alla vista e così divenni autista di ambulanze sul fronte italiano. Da questa esperienza scaturì la trama di “Addio alle armi” ambientato a Gorizia dove, in realtà, non sono mai stato anche perché non era ancora italiana ma controllata dagli Austriaci. Fu in Italia che conobbi Dos Passos e iniziai anche a collaborare con una rivista. Come il protagonista del mio romanzo, venni gravemente ferito mentre cercavo di trasportare un ferito, venni operato e durante la degenza in ospedale mi innamorai di un’infermiera. Durante un successivo periodo di convalescenza trascorso a Taormina, a casa del pittore inglese Rober Hawthorn Kitson, scrissi “I mercenari” il mio primo racconto. Tornato a casa con tanto di medaglia, mi dedicai alla scrittura, alla pesca e alle conferenze nelle quali raccontavo della mia esperienza di guerra. Nel 1920 durante uno di questi incontri conobbi Harriet Gridlay Connable che mi invitò a casa sua a Toronto e mi trasferii là. Lei mi introdusse nella redazione del “Toronto Star” con il quale iniziai una collaborazione che durò molti anni ma non riuscii a far pubblicare alcuni racconti. Intanto mia madre, che non condivideva la mia scelta di vita, convinse mio padre a tagliarmi i viveri, così mi ritrovai povero in canna e trovai ospitalità dal fratello di un mio amico a Chicago. Qui conobbi la mia futura moglie, la pianista Hadley Richardson, che sposai l’anno dopo. Per sbarcare il lunario trovai lavoro nel settore pubblicitario, poi venni assunto dalla rivista mensile “The Cooperative Commonwealth” e la mia carriera di giornalismo decollò, permettendomi anche di viaggiare come inviato in Europa, mentre quella di scrittore decisamente meno. Nel 1922 mi stabilii a Parigi con Hadley e lì incontrai la scrittrice Gertrude Stein, la quale mi presentò a James Joyce e Ezra Pound. Su consiglio di Gertrude presi a leggere opere delle avanguardie letterarie, in particolare del Modernismo ma il mio maestro in assoluto fu comunque Ezra Pound e la mia carriera di scrittore ebbe inizio veramente con la pubblicazione, nel 1923, di un volume con i miei racconti “Il mio vecchio” e “Fuori stagione“, con alcuni poesie. L’anno dopo, su consiglio di Gertrude Stein mi recai a Pamplona per la Festa di San Firmino dalla quale trassi ispirazione per “Fiesta” che venne accolto da critica e pubblico con clamore. Intanto, a Toronto in Canada, mi era nato il mio primo figlio Bumby, ovvero John Hadley Nicanor. Seguì un periodo di intenso lavoro letterario, di viaggi e di incontri: strinsi amicizia con Francis Scott Ftizgerald ma detestavo sua moglie Zelda, iniziai a frequentare i miliardari Gerard e Sarah Murphy che mi ispirarono i protagonisti di “Tenera è la notte“. Ero vincolato da un contratto editoriale che desideravo recedere per passare ad altro, ma non avrei potuto farlo senza pagare penali pertanto escogitai di scrivere un racconto che indignò anche i miei amici e che il mio editore si rifiutò di pubblicare, offrendomi il motivo per rendermi libero. L’unica che prese le mie difese fu la redattrice di “Vogue“, Pauline Pfeiffer, che divenne una presenza costante nella nostra vita. Così nel 1926, tornato a New York, vidi la pubblicazione dei miei primi due romanzi, soprattutto di “Fiesta“, mi recarono fama e apprezzamenti mentre il mio matrimonio, proprio a causa della presenza assidua di Pauline, finì inesorabilmente. Nel 1927 sposai Pauline e ci trasferimmo a Key West, in Florida, dove iniziai a scrivere “Addio alle armi” e pubblicai “Uomini senza donne” recensito di Virginia Woolf e l’anno successivo nacque il mio secondogenito Patrick ma la mia vita venne profondamente sconvolta dal suicidio di mio padre. Nel 1929 uscì “Addio alle armi” che riscosse un grande successo ed iniziò un periodo di viaggi, safari e bevute eccessive che mi arrecarono qualche incidente, tornato a casa ricevetti la notizia che mia moglie era di nuovo incinta ma la vita familiare mi stava stretta, perciò ripartii per la Spagna dove intrecciai una lunga relazione con Jane Mason che per poco non finì col suicidio di lei. Tornai a casa per la nascita del mio terzogenito, Gregory Hancock e ci fu l’uscita al cinema della trasposizione di “Addio alle armi” che ebbe un grande successo. Tra un viaggio e l’altro, tra l’Europa e Cuba, un safari, una battuta di pesca con la mia nuova barca, pubblicazioni più o meno fortunate nel 1940 iniziai a lavorare a “Per chi suona la campana” che riscosse subito un grande successo e viene universalmente considerato la mia opera più riuscita per l’epicità intensa e per alcuni concetti e tematiche testimoni di un ottimismo ancora presente ma che si sarebbe perso per strada. Intanto avevo iniziato a frequentare una giovane scrittrice, Martha Gelhorn, che sposai appena ottenuto il divorzio da Pauline. Durante la II Guerra Mondiale svolsi un’attività di controspionaggio per il governo americano, volta ad impedire che i Nazisti collocassero una loro colonna a Cuba e contro il parere di mia moglie, adibii la mia barca a nave civetta. Lei incominciava ad essere insofferente anche nei confronti del mio eccessivo uso di alcolici, problema che mi causò anche un brutto incidente d’auto, con commozione cerebrale ma, nonostante il parere contrario dei medici, continuai a bere ed invece di restare a riposo partii per l’Europa con altri corrispondenti di guerra per andare ad attendere il D-Day, da lì per sette mesi partecipai al conflitto. Il 1945 fu un anno terribile: ero affetto da fortissime emicranie, contrassi ben due polmoniti, ebbi un altro gravissimo incidente d’auto, il matrimonio con Martha si concluse con un divorzio e forte fu la preoccupazione per mio figlio John ferito e catturato dai Tedeschi. L’anno successivo sposai Mary Welsh ed iniziai a scrivere “Il giardino dell’Eden” e mi dedicai ai viaggi, in particolare fui in Italia per lunghi periodi, dove iniziai a scrivere il romanzo “Al di là dal fiume e tra gli alberi” ambientato proprio in Italia, tra il Veneto e il Friuli che avevo visitato, che venne pubblicato nel 1950 ma venne accolto freddamente dalla critica e con poca considerazione da parte del pubblico. Dal momento che nella trama vi erano espliciti riferimenti a luoghi e persone che avevo realmente conosciuto, come la nobildonna Adriana Ivancich con la quale aveva avuto una relazione che aveva destato un certo scalpore e facilmente riconoscibile in un personaggio del romanzo, ne vietai la pubblicazione in Italia per almeno due anni, infatti venne edito solo nel 1965. Tornato a Cuba mi dedicai alla pesca con la mia barca e alla scrittura di “Il vecchio e il mare” che terminai nel 1952 e al romanzo “Isole della corrente” che non terminai e che uscì dopo la mia morte. Nel 1953 arrivò il Premio Pulitzer per “Il vecchio e il mare” e poi anche il Premio Bancarella. Nel 1954 fu la volta del Nobel, sempre per “Il vecchio e il mare” ma non ero in grado di viaggiare e delegai l’Ambasciatore John Cabot. Nonostante la salute compromessa e contro il parere dei medici, continuai a viaggiare, forse perché non volevo rassegnarmi al decadimento fisico. Nel 1957 arrivò anche la depressione con le crisi maniaco-depressive che mi portavano a diffidare di tutto e di tutti, oltre che a vuoti di memoria, a temere persino complotti alle mie spalle. Arrivai a pensare di non avere più soldi, che l’FBI mi spiasse e, anche se non ai livelli che pensavo io, in effetti dai loro archivi risultò poi che qualcosa di vero c’era.  Venne deciso un mio ricovero che avvenne sotto falso nome in una clinica in Minnesota, dove venni sottoposto a elettroshock che peggiorarono ancora di più la memoria e venni colpito da afasia. Dopo le dimissioni mi chiusi in casa rifiutando ogni invito e smettendo di bere, piangevo continuamente, dimagrivo così tanto che mi convinsi di avere un cancro. Il 21 Aprile tentai di sottrarre un fucile dalla stanza dove li conservavo, ma mia moglie se ne accorse, io le dissi che volevo solo pulirlo  e l’intervento del mio medico mi convinse a desistere dal mio intento, mi riportò in clinica dove mi sottoposero ad ulteriori elettroshock. Vi rimasi per due mesi, in isolamento totale e a Giugno venni dichiarato guarito e dimesso ma già tornando a casa ebbi forti allucinazioni. Il 2 Luglio 1961 trovai le chiavi dell’armadietto dei fucili sul tavolo della cucina, dove le aveva lasciate mia moglie. Le presi e andai nella stanza dove li conservavo, ne presi uno e mi sparai. Mary disse che era stato un incidente. Venni sepolto nel cimitero di Ketchum nell’Ohio. Voglio chiudere con una curiosità che riguarda l’Italia: sapete come è nato il famoso “muretto di Alassio?” Nel 1953 mi trovavo ad Alassio dove frequentavo abitualmente il Caffè Roma, di cui era proprietario Mario Berrino, il quale mi propose di trasformare il muretto, posto davanti al bancone del suo bar, in un’opera d’arte interattiva, sulla quale sarebbero state riportate le dediche e le firme dei clienti più illustri del suo bar. L’idea mi piacque e così nacque il muretto. Ancora più divertente il fatto che mi sia stata intitolata una specie di pesce estinta la Hemingwaya sarissa. 

A voi dedico questa frase dal “Il vecchio e il mare“:  “Ora non è il momento di pensare a quello che non hai. Pensa a quello che puoi fare con quello che hai” 

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