19 Febbraio1950 – Salvatore Niffoi

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Per il compleanno dello scrittore di questo mese ho scelto un narratore sardo che ho scoperto proprio in questi giorni, leggendo il romanzo “La leggenda di Redenta Tiria”.  Fin dalle prime pagine mi sono resa conto di quanto la narrazione degli eventi mi ricordasse un’altra opera che noi del Circolo LaRocca amiamo molto “L’antologia di Spoon River” di Edgar Lee Master: ecco, si potrebbe dire che il romanzo di Niffoi è la versione in prosa dell’opera di E.L. Master, almeno secondo il mio parere. “La Leggenda di Redenta Tiria” ha come protagonista il paese di Abacrasta, in Sardegna, e i suoi abitanti i quali non muoiono di morte naturale, di vecchiaia o di malattia ma per suicidio dopo aver udito la chiamata della Voce che gli dice «Ajò! Preparati, che il tuo tempo è scaduto!». La narrazione si articola in capitoli ognuno dedicato ad uno dei personaggi che odono il richiamo della Voce e eseguono quello che è inevitabile, da qui l’analogia con “L’antologia di Spoon River”. Il romanzo di Niffoi si apre con il capitolo dedicato ad Abacrasta dove, per citare l’autore, “…di vecchiaia non muore mai nessuno, l’agonia non ha fottuto mai un cristiano. Tutti gli uomini, arrivati a una certa età, fiutando la fine imminente, si slegano i calzoni come per andare a fare i bisogni, si slacciano la cinta e se la legano al collo. Le donne usano la fune. Qualcuno si spara, si svena, si annega, ma pochi, molto pochi, rispetto agli impiccati. Nelle tanche di Abacrasta non c’è albero che non sia diventato una croce”. E’ qui che conosciamo le origini di questo paese immaginario, i suoi contorni e le sue peculiarità. In questo capitolo conosciamo anche il narratore, Battista Graminzone, ora pensionato ma un tempo impiegato comunale addetto ai nullaosta per il seppellimento dei cadaveri dei suicidi. Nel secondo capitolo il narratore ci introduce al primo suicida di cui ha conoscenza diretta, benché sia ancora solo un bambino: è suo nonno, Menelau Graminzone, morto impiccato la vigilia di Natale. Davanti al corpo penzolante da una quercia, con gli occhi sbarrati e le orecchie rosicate dai topi campagnoli, per tranquillizzarlo la nonna Juvanna gli dice:«Non preoccuparti, Battì, perché ad Abacrasta gli uomini muoiono tutti così!». La Voce l’ha chiamato e lui ha ubbidito, come tutti! Il ragazzino però si chiede da dove provenga quella voce, di chi sia, quando lo avrebbe chiamato anche a lui e cosa dicesse. La nonna, o meglio Mannai Juvanna, gli spiega che dice semplicemente “Ajò! Preparati, che il tuo tempo è scaduto!” nient’altro e il ragazzino crescerà nell’attesa del momento in cui udirà quel richiamo invisibile che lo porterà via. Nel terzo capitolo incontriamo invece Pascale Prunizza, un giovane pastore amante dei cavalli, coetaneo del narratore, poi Bernardu Solitariu pasticcere, Beneitta Trunzone mancata suora, Genuario Candela mancato centenario per un soffio,  gli otto fratelli Cambaleddos rimasti orfani, Bantine Pica sindaco di Abacrasta, l’ereditiera innamorata Boranzela Coro ‘e Cane, il miracolato Chilleddu Malevadau figlio illegittimo e sfortunato, Candidu Vargia il servo pastore, Tragasu Imbilicu becchino con la passione della bici sono i protagonisti dei relativi capitoli, ognuno con la propria storia, ognuno segnato dal richiamo della Voce, tutti ben descritti da Niffoi che li delinea con estrema precisione e nonostante la fine tragica, riesce sempre a strappare un sorriso. Descritti con pochi tratti di micidiale incisività e con una sorta di comicità nera unita ad una pietà sentita ineluttabilmente anche dal narratore perché fa parte del suo stesso essere. Poi un giorno tutto cambia! Perché un giorno arriva a Abacrasta, non si sa da dove, una donna cieca, con i capelli lucidi come ali di corvo e i piedi scalzi, che dice di chiamarsi Redenta Tiria e di essere figlia del sole ed è da qui che inizia la seconda parte del romanzo che già dal titolo “Della vita ritrovata e di altre storie”, ci introduce ad un nuovo corso nelle vicende degli abitanti di Abacrasta, di speranza e di rinascita. Redenta Tiria entra nelle vite dei protagonisti di questi capitoli, compresa quella del narratore stesso, per spengere la Voce perché la vecchietta è la luce mandata per ridare una speranza a chi crede di non averla più.  Il minuscolo paesino è un caotico e grottesco teatro del mondo, dove ogni personaggio rappresenta una delle possibili forme beffarde, stupefacenti che può assumere la condizione umana. La narrazione avviene in modo originale mescolando alla lingua italiana termini tipici della lingua sarda, questo per rendere al meglio il significato delle parole usate che traducendole, secondo l’autore, rischierebbero di far perdere al lettore il senso della narrazione. “La leggenda di Redenta Tiria” nonostante la drammaticità iniziale è un inno alla speranza, un invito a credere nella vita, a ricercare le motivazioni per non lasciarsi andare al richiamo della Voce, come nel caso degli abitanti di Abacrasta, o di qualsiasi altro tipo di negatività. Si legge tutto d’un fiato e ve lo consiglio.

Ma chi è Salvatore Niffoi? E’ nato a Orani, nella Barbagia il 19 Febbraio 1950, dove vive , insegna e scrive. E’ conosciuto come Karrone soprannome che si è guadagnato da piccolo per distinguerlo dagli altri Niffoi e perché in Sardegna chi non ha un nomignolo è come se non esistesse. Laureato in lettere a Roma con una tesi sulla poesia in sardo. E’ sposato, ha 4 figli e ha insegnato materie letterarie presso la scuola media del suo paese. Il suo primo romanzo “Collodoro” è del 1997, poi è la volta dei romanzi “Il viaggio degli inganni” del 1999, “Il postino di Piracherfa”” del 2000, “Cristolu” del 2001, “La sesta ora” del 2003 editi da Il Maestrale. Con “La leggenda di Redenta Tiria” inizia a pubblicare con Adelphi che pubblica anche “La vedova scalza” con il quale Niffoi vince il Premio Campiello nel 2006. E’ considerato un esponente della Nuova Letteratura Sarda e i suoi libri sono stati tradotti in numerose lingue. Ha la passione per la ceramica.

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