PREMIO NOBEL LETTERATURA: anno 1936 Eugene O’Neill

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Nel 1935 il Premio Nobel per la Letteratura non venne assegnato, nel 1936 venni insignito io, EUGENE O’NEILL, il secondo statunitense, “per la forza, l’onestà e le emozioni profondamente sentite dei suoi lavori drammatici, che incarnano un concetto originale di tragedia”. Nacqui in un hotel di New York il 16 Ottobre 1888, con il vero nome di Eugene Gladstone O’Neill. Mio padre James, cattolico irlandese, era un pianista quindi ebbi ben presto familiarità con il palcoscenico. La vita precaria e sempre in viaggio alla quale ci costrinse mio padre portò mia madre alla tossicodipendenza. Dopo aver frequentato le scuole cattoliche, mi iscrissi all’Accademia e poi all’Università, prima a Princeton ma venni espulso dopo un anno e poi a Harvard subendo la stessa sorte e sempre per ubriachezza. Dopodiché mi diedi alle avventure più svariate, sono stato addirittura sposato per tre giorni con una moglie che scappava sempre dalla mia dissolutezza. Sono stato anche cercatore d’oro in Honduras, marinaio in Sud America e feci pure naufragio. Tutte esperienze che mi “regalarono” un tentativo di suicidio e la tubercolosi tanto che finii in sanatorio negli USA, condizione che mi permise di scoprire la lettura, in particolare le opere di Ibsen e Strindberg, e la mia vera vocazione: la scrittura. Un critico teatrale convinse mio padre a mandarmi ad Harvard per studiare con George Pierce Baker nel suo rinomato corso di scrittura teatrale. La mia prima rappresentazione avvenne nel 1916 in un piccolo villaggio di pescatori nel Massachessetts, in una piccola e sgangherata casetta sul molo ma avevo talento era innegabile. Quando arrivai a Broadway mi ero già conquistato una buona reputazione. Le mie esperienze del passato diedero vita ai “Drammi marini” dove presero vita le figure incontrate nelle mie avventure, caratterizzate da un fatalismo quasi sempre senza speranza. Nel 1920 vinsi il Premio Pulitzer con “Oltre l’orizzonte”, un dramma ambientato nei campi agricoli e nella campagna, nel quale evidenziai le passioni primitive e i sentimenti, cercando un filo conduttore con gli eroi del teatro greco ed orientale con la loro lotta per la sopravvivenza. In queste mie opere asserivo che l’uomo fosse al mondo per lottare e per essere sconfitto; mi avvicinai all’espressionismo focalizzando l’attenzione sui misteri del sovrannaturale. Vinsi il Pulitzer altre tre volte. Non starò ad analizzare ogni opera e i vari contenuti, sarebbero troppe, ne citerò alcune tra le più significative per gli argomenti trattati come “Desiderio sotto gli olmi” del 1924 nella quale distrussi praticamente il mito del pioniere americano rappresentandolo come in realtà era: un assetato conquistatore e possessore di terre. La mia reputazione crebbe sempre di più sia negli Stati Uniti che all’estero, si può affermare che dopo Shakespeare e Shaw io sia il drammaturgo pi tradotto e prodotto. In “Il lutto si addice ad Elettra” del 1931 trattai argomenti metafisici e religiosi forse a causa della mia temporanea conversione al cattolicesimo. Mi interessai anche alle teorie freudiane per affrontare argomenti come la natura matrigna, il sesso schiavizzante e la libertà soffocata del determinismo. Il mio impegno nel lavoro era considerevole: oltre ad una gran quantità di opere prodotte, avevo l’abitudine di scrivere e riscrivere più volte i miei manoscritti prima di esserne pienamente soddisfatto e annotavo tutto su appositi quaderni che riempivano i miei scaffali. Nel 1936 il Nobel, primo drammaturgo americano ad ottenerlo. In “Lungo viaggio verso la notte” del 1940 riprese la mia vena realistica, la dedicai a mia moglie ma non ne vidi la rappresentazione perché postuma; i personaggi erano tutti ispirati alla mia famiglia: la madre morfinomane, il padre alcolizzato, il figlio, me stesso tubercolotico. Sicuramente le tragiche relazioni familiari influenzarono la mia produzione letteraria: i miei genitori si amavano e si tormentavano a vicenda, mio fratello nonostante l’affetto mi portò sulla strada dell’alcolismo che per lui fu fatale, tutto questo ha lasciato un segno nelle mie opere. La mia tragica visione della vita influì anche le mie relazioni amorose con le tre donne che sposai e i rapporti con i miei tre figli: Eugene si suicidò quarantenne; anche Shane è finito suicida a 57 anni dopo aver condotto una vita senza scopo e dissoluta; Oona la diseredai, come pure Shane, perché a 18 anni contro la mia volontà, facendomi infuriare, decise di sposare Charlie Chaplin, un uomo che aveva la mia stessa età. Gli ultimi anni della mia vita, incapace di lavorare, desiderai ardentemente la morte e mi sedetti ad aspettarla in un hotel (in fondo in un hotel ero nato) di Boston, isolandomi da tutti tranne dal mio medico, la mia infermiera e mia moglie Carlotta Monterey. Lasciai questa vita terrena il 27 Novembre 1953. Sono stato il primo drammaturgo americano ad usare il palcoscenico come un mezzo letterario, l’unico drammaturgo americano ad essere insignito col Nobel, colui che ha fatto crescere il teatro americano negli anni ’20 praticamente inesistente gettando le basi per lo sviluppo e l’evoluzione di Broadway.

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