29 novembre 1902 – Carlo Levi

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Ho visto di recente su Rai Storia una deliziosa simil-intervista, tratta da “Incontri di Indro Montanelli” del 1959, grazie alla quale il compianto giornalista fucecchiese ci racconta qualcosa di più su Carlo Levi, il nostro festeggiato di novembre. Levi, antifascista, medico, pittore e scrittore, ha sempre considerato la pittura la sua attività prevalente, tant’è vero che anche nel citato incontro con Montanelli, che prende avvio dall’equivoco sull’identità di Orune (per Levi una cornacchia, per Montanelli una donna), inizia a mostrare i suoi quadri, per lo più ritratti, fra cui spicca quello di Giulia la santarcangelese, una delle protagoniste del romanzo autobiografico “Cristo si è fermato a Eboli”, iniziato il giorno di Natale del 1943 e  da cui  nel 1979 Francesco Rosi ha tratto l’adattamento cinematografico, con la sceneggiatura di Raffaele La Capria e Tonino Guerra ed interpretato – tra gli altri – da Gian Maria Volonté, Lea Massari ed Irene Papas. Levi si era unito, assieme al sardo Emilio Lussu e ad altri rifugiati politici italiani, al movimento antifascista “Giustizia e Libertà” e per questa ragione negli anni 1935/36 era stato confinato in Basilicata, nel paese di Aliano (che diviene Gagliano nella trasposizione letteraria). Nel memoir Levi non ci racconta solo i due anni di confino, ma anche la straordinaria ricchezza di valori della cultura popolare e denuncia la condizione di arretratezza e miseria della società rurale del Mezzogiorno d’Italia, all’epoca sconosciuta ai più. Nel suo incontro con la gente del Sud scopre infatti che i residenti delle desolate terre di Lucania si sentono animali, bestie da soma e da lavoro, non “cristiani” (cristiano = UOMO). “Cristo si è fermato a Eboli”…

Levi giunge a Gagliano – scortato dai carabinieri – assieme al fedele cane Barone, in trasferimento da Grassano, un paese ad una sessantina di chilometri a nord. E’ dispiaciuto per questo spostamento, in quanto aveva oramai imparato ad amare Grassano, ma la sua anima è lieve perché nel tragitto ha l’occasione di attraversare la cosiddetta “terra dei banditi”, verde ed impervia, in particolare San Mauro Forte, al cui ingresso erano ancora piantati i pali su cui venivano esposte le teste dei briganti e Stigliano, dove il vecchissimo corvo Marco staziona da decenni sulla piazza principale. In attesa di una sistemazione definitiva viene accolto in casa da una vedova, cognata del Segretario Comunale, e qui viene raggiunto da un gruppo di contadini, evidentemente informati della sua antica laurea in medicina, che lo pregano di recarsi al capezzale di un uomo divorato dalla malaria. Levi si schernisce, dicendo di non aver mai praticato la professione, e consiglia loro di rivolgersi al medico del paese, senz’altro più competente di lui. Viene informato che i dottori sono due, il dottor Milillo ed il dottor Gibilisco, frustrati ed inetti, buoni a somministrare soltanto dosi di chinino. In sostanza, più che medici, “medicaciucci”. Da questo momento in poi Levi si troverà suo malgrado ad occuparsi della salute degli alianesi, che riponevano in lui una speranza di guarigione, con evidente disappunto dei due “colleghi”. Passano i giorni ed inizia a prendere confidenza con l’ambiente: il pane nero di grano duro, le anfore di Ferrandina, che le donne portano sulla testa, i cortopassi, vipere dal veleno mortale. Conosce in breve tempo gli abitanti del borgo: Luigino Magalone, maestro elementare, detto “il Professore”, che svolgeva la carica di Podestà ed aveva il compito di controllare i confinati; Donna Caterina Magalone Cuscianna, sua sorella, ritenuta dagli abitanti la vera detentrice del potere; il brigadiere dei Carabinieri, pugliese, amante dell’ostetrica del paese e, si vociferava, anche di una bellissima confinata siciliana in odore di mafia. Le vicine di casa della vedova, curiose, che spiavano Levi senza darsi la pena di nasconderlo; l’Ufficiale Esattoriale, dall’animo musicale, che non amava il proprio lavoro e non si separava mai dal clarinetto. E poi Don Trajella, l’Arciprete, un tempo uomo di cultura e fede, che si trovava adesso a dire messa in una Chiesa vuota e che verrà rimpiazzato da Don Pietro Liguari dopo che si era presentato alticcio alle celebrazioni del Natale; il claudicante Carnovale, factotum di Gagliano, le cui mansioni spaziavano dalla macellazione degli animali all’amministrazione di patrimoni. E poi il vecchio becchino, anticamente incantatore di lupi, che aveva uno strano potere sugli animali. Levi conosce anche altri due confinati: un biondo muratore di Ancona ed uno studente di Scienze Politiche di Pisa, ai quali il Podestà aveva impedito di frequentarsi. I giorni si susseguono nella loro immobile quotidianità, fra i versi degli animali e le attività degli abitanti, unica divagazione l’arrivo dell’amata sorella, anch’essa medico, che porterà per quattro giorni una ventata di novità nella routine del confino. Col trascorrere del tempo i medici “titolari” Milillo e Gibilisco perdono autorevolezza e stima ed aumenta, probabilmente, la loro frustrazione ed il loro malcontento, fino a quando viene intimato a Levi di interrompere immediatamente la sua attività di cura degli alianesi. Ma i contadini, per i quali da sempre lo Stato era considerato un male inevitabile, da combattere con pazienza e rassegnazione, stavolta non intendono soggiacere in silenzio a questa imposizione…

Nacque a Torino il 29 novembre 1902 in un’agiata famiglia della media borghesia ebraica: il padre Ercole era rappresentante di una ditta inglese di tessuti, la madre Annetta sorella del leader socialista riformista Claudio Treves. A Torino frequentò il liceo Alfieri e si iscrisse successivamente alla facoltà di medicina, dove si laureò, giovanissimo, a soli 22 anni. Nonostante l’iniziale collaborazione con la Clinica Medica dell’Università, non esercitò mai la professione, ma si dedicò con slancio alle due grandi passioni della sua vita: la pittura e la politica. Sono infatti di questi anni le prime esposizioni alla XIV Biennale di Venezia e le esperienze parigine, che lo portarono ad incontrare intellettuali ed artisti del tempo: da Prokofiev a Stravinsky, da Moravia a De Chirico a Modigliani. L’attivismo politico, inizialmente stimolato dalla profonda amicizia con Piero Gobetti, prese vigore con la frequentazione di Carlo e Nello Rosselli, Vittorio Foa, Leone Ginzburg, Cesare Pavese, Emilio Lussu e la partecipazione ai primi gruppi di resistenza contro il fascismo. Aderì al movimento politico “Giustizia e Libertà”, fondato a Parigi nel 1929 da un gruppo di esuli antifascisti. Dopo gli anni di confino a Grassano ed Aliano espatriò in Francia, dove rimase fino al 1941. Dal 1942 in poi prese avvio una proficua attività letteraria che portò alla pubblicazione di opere quali “L’orologio”, “Le parole sono pietre”, “Il futuro ha un cuore antico”, “La doppia notte dei tigli”, oltre al summenzionato “Cristo si è fermato a Eboli”. Nel 1963 venne eletto al Senato, dove venne confermato fino al 1972, come indipendente nelle liste del Pci. Morì a Roma il 4 gennaio del 1975, ma per sua volontà venne sepolto ad Aliano, onorando così la promessa fatta agli abitanti del piccolo borgo lucano.

di Silvia Corsinovi

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