PREMIO NOBEL LETTERATURA: anno 1933 Ivan Alekseevic Bunin

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Nel 1933 il Premio Nobel per la Letteratura venne assegnato a me, Ivan Alekseevic Bunin, “per la precisione artistica con la quale ha trasposto le tradizioni classiche russe in prosa”.

Sono nato a Voronez, nella Russia meridionale, il 22 Ottobre 1870. I miei genitori appartenevano a nobili famiglie russe, che vantavano valorosi militari e la poetessa Anna Bunina e il poeta Vasilij Andreevic Zukovskij. Ho trascorso un’infanzia malinconica e fino all’età di 11 anni sono stato educato nella tenuta di campagna della mia famiglia. Nel 1881 entrai al ginnasio di Elec che abbandonai a causa delle difficoltà economiche in cui versava la mia famiglia. Tornai nella nostra tenuta di Ozerki per proseguire gli studi sotto la guida del mio fratello maggiore Julij. Fu lui ad iniziarmi alla lettura dei classici della letteratura russa come Puskin, Gogol, Lermontov ma non condividevo la sua passione per le idee più radicali. Cominciai a comporre versi a diciassette anni e una rivista letteraria di San Pietroburgo pubblicò il mio primo poema. Dopo un breve periodo di lavoro a Charkiv con mio fratello, venni assunto come correttore di bozze e poi redattore e critico teatrale per il quotidiano “Il messaggero di Orel”. Qui conobbi Varvara Paščenko, che era una collaboratrice del giornale, con la quale ho vissuto una dolorosa relazione amorosa che terminò quando lei sposò un nostro amico Arsenij Bibikov. Nel 1898 sposai Anna Cakni, figlia di un rivoluzionario greco,  ma ci separammo dopo due anni. Nel 1900 scrissi la novella “Le mele Antonov”, nel 1901 dedicai al mio amico Maksim Gorkij il poema “La caduta delle foglie” che mi valse il Premio Puskin dell’Accademia russa delle scienze della quale nel 1909 divenne membro onorario. In quegli anni entrai a far parte del gruppo “La conoscenza” ma rimasi estraneo alle loro ideologie. Nel 1903 iniziai a viaggiare: Costantinopoli, l’Italia, la Palestina, Egitto, Grecia, Algeria e Tunisia. Nel 1906 a Mosca conobbi Vera Muromceva con la quale inizia una intensa relazione che ci porterà nel 1922 al matrimonio celebrato a Parigi. Intanto nel 1910 uscì il mio primo romanzo “Il villaggio” nel quale descrivo un microcosmo senza indulgere a nessun idealismo, scavando con impietoso realismo nell’animo della Russia rurale che scosse profondamente Mosca. Seguì nel 1911 “Valsecca” sulla decadenza dell’aristocrazia terriera. Negli anni 1912 e 1914 preferii trascorrere gli inverni in Italia, a Capri. Nel 1915 vennero pubblicate le mie opere complete in sei volumi ai quali fece seguito “Il signore di San Francisco” nel quale racconto la morte di un ricco americano sull’isola di Capri, per l’appunto. Affidai le mie riflessioni sugli anni della Rivoluzione d’Ottobre al diario “Giornate maledette”.  Lasciai Mosca nel 1918 per trasferirmi nella Russia meridionale nel pieno della guerra civile e ad Odessa collaborai con l’Armata Bianca che sosteneva la Zar, e quando vene sconfitta dai Bolscevichi, partii per Costantinopoli, che lasciai nel 1919 per Parigi. Il mio stato di esiliato segnò la mia poetica che sarà sempre più rivolta ad una Russia nostalgica che viveva solo nei miei ricordi. Videro la luce i miei romanzi “L’amore di Mitja” nel 1925 e “La vita di Arsenev” nel 1930 con forti influenze autobiografiche. Nel 1925, mentre mi trovavo sulle Alpi Marittime, scrissi anche “L’affare dell’alfiere Elaghin” nel quale ricostruii un delitto famoso, quello dell’attrice polacca Visnovska per mano del suo spasimante, ne risultò uno studio psicologico-letterario della passione amorosa. Tra le mie attività sono stato anche il traduttore di importanti autori  come Byron e Tennyson. Nel 1933 arrivò il Nobel, primo scrittore russo ad ottenerlo, un grande onore. Sono stato oppositore del nazismo e durante l’occupazione ospitai un ebreo nella mia casa di Grasse. Nel 1943 uscì una raccolta di racconti “Viali oscuri”. Ho lasciato questo mondo l’8 Novembre 1953 nel mio appartamento di Parigi, per un infarto, dopo che una brutta polmonite mi aveva debilitato già da qualche anno. Riposo nel Cimitero Russo di Sainte-Genevieve-des-Bois. Soltanto negli anni ’50 del secolo scorso le mie opere hanno iniziato ad essere pubblicate anche nell’URSS e da allora anche nella mia patria sono lette e molto apprezzate.

 da Il villaggio 

Il bisnonno dei Krassov, soprannominato, fra la servitù, lo Zingaro, era stato sbranato dai mastini del suo signore, il capitano di cavalleria Durnovo. Lo Zingaro gli aveva tolto l’amante. Durnovo ordinò di condurre lo Zingaro in un campo fuori dal villaggio e di farlo sedere su un cumulo di terra, poi egli stesso uscì fuori con la sua muta e gridò: «Taiuh!». Lo Zingaro dopo un momento di sbalordimento si diede alla fuga. Ora, sappiamo che non bisogna mai correre davanti ai cani.
Non si sa per quale ragione il nonno dei Karsovv, liberato dalla schiavitù, andò ad abitare in città con la famiglia e divenne in breve celebre come ladro. Prese in affitto nel Sobborgo Nero una casupola, e vi mise la moglie a far merletti che poi vendeva, mentre egli in compagnia di un certo Bielocopitov scorazzava per la provincia, depredando le chiese. Due anni dopo fu catturato. Ma davanti al tribunale si difese in maniera tale che per parecchio tempo le risposte da lui date ai giudici divennero popolari.

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